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#Review – Tim Burton torna agli albori con “Frankenweenie”


Ok, Tim Burton. Parliamo di lui, di un regista che definire di culto è poco. Cosa vi viene in mente? “Edward mani di forbice” tutti in coro, bene bravi. Chi ha detto “Nightmare before christmas“? Bravo anche lui! I primi due vecchi Batman, eccellente! Magari quelli più scafati tra noi apprezzeranno anche “Ed Wood“, “Mars Attacks” e “Big Fish” – quest’ultimo a nostro dire il suo vero capolavoro, senza paura di attirarci critiche.

E poi? E poi c’è il periodo beige, ovvero quello in cui Tim Burton ha semplicemente fatto commediole o remake per conto di casa Disney, cercando di dare il suo stile gotico a qualsiasi storia gli capitasse per mano e sovraesponendo il suo attore feticcio, Johnny Depp in abbinamento alla sua amata compagna Helena Bonham Carter. Ma cosa resta di “Alice in Wonderland“, “Il Pianeta delle Scimmie“, “Il Mistero di Sleepy Hollow“, “La Fabbrica di Cioccolato” e “Dark Shadows“? Molto poco. Si belli i costumi, bella la fotografia, belli i set, ma sembra quasi di vedere l’ombra di Tim Burton, non il suo vero genio. E non è neanche assicurato che le operazioni di remake di vecchi classici, vedi Alice e la Fabbrica, ammantate nello stile gotico del regista rendano meglio degli originali. Gene Wilder, il Willy Wonka originale, ride ancora sardonicamente del ghigno paranoico di Depp, c’è poco da fare.

Eppure in questi ultimi anni Tim Burton ha fatto una gran cosa. Ha ricominciato ad appassionarsi alla stop-motion, ovvero l’arte dell’animazione tramite pupazzi di plastilina fotografati fotogramma per fotogramma. Nel 2005 “La Sposa Cadavere” è stato uno dei film oggettivamente più belli della stagione, in cui la mano di Tim Burton è riuscita ad emergere con fermezza e dignità. C’è ancora speranza.

Ci siamo accostati dunque alla visione di “Frankenweenie” con un pò d’ansia sottopelle. Le premesse erano buone, quando si parla di animazione se interviene Tim Burton si può stare relativamente tranquilli. Il punto è che “Frankenweenie” altro non è che l’estensione in forma di lungometraggio delle idee di un cortometraggio originale del 1984 di Burton. Sostanzialmente, è Burton che fa un remake di Burton. E i remake non gli riescono mica tanto bene.

La trama vede al centro un giovane Victor, figlio dei signori Frankenstein in una tranquilla cittadina dei sobborghi americani, New Holland. Victor è un ragazzo solitario, il cui unico vero amico è il suo cane Sparky. Il suo amore per il cinema e la fantascienza lo porterà ad esaltarsi per l’arrivo di un nuovo professore di scienze che cercherà di inculcare agli studenti della scuola l’amore per scienza e ricerca, oltre che uno spirito critico. A seguito di un incidente Sparky morirà e Victor, non accettando il destino, riuscirà a rianimarlo dalla morte. Quando vicini e compagni di scuola scopriranno il segreto del giovane Victor, si scatenerà una serie di eventi sempre più catastrofici.

Quindi dopo questo fiume di parole, il punto? Il punto è che Frankenweenie è un film che merita di essere visto almeno una volta. Perchè vi fa capire quanta poesia e lieta malinconia c’è (o c’era?) in un artista invero (un tempo?) come Tim Burton, e quanto la macchina del cinema possa deviare l’arte in prodotto, introducendo un 3D totalmente inutile e pretestuoso, se non addirittura nocivo alla pellicola stessa. L’aggiunta postuma del 3D impedisce di cogliere le sfumanute e i dettagli dei fondali nel mentre che si cerca di mettere a fuoco qualcosa. Trattandosi di stop-motion, di per se poco fluida nei movimenti, introdurre la stereoscopia porta lo spettatore ad una fatica doppia per seguire le immagini, e ne consegue che le nemmeno due ore di visione della pellicola siano completamente rovinate dalla tecnologia tridimensionale, e si esce dalla sala stanchi ed esausti.

Eppure, in “Frankenweenie” c’è molto del vero Burton, e c’è la fantascienza anni ’50, e ci sono i mostri, e ci sono personaggi dark ma incredibilmente dolci, e soprattutto troviamo sentimenti puri in conflitto con le sovrastrutture della società degli adulti. E quindi vi consigliamo assolutamente la visione del film, anche se è solo un remake di un vecchio corto, perchè questo è il Tim Burton che vorremmo vedere sempre, questo è un autore con la “A maiuscola” al pieno della sua dignità. Ma fatelo a casa vostra, in DVD, e senza 3D. E magari fermate la riproduzione 30 secondi prima della fine del film. In questo modo eviterete tutte le brutture introdotte dalla Disney, ivi incluso un “happy end”, secondo noi, talmente posticcio e tirato per i capelli, nonchè inutile al senso complessivo della pellicola, che francamente ci son cascate le braccia.

“Frankenweenie” di Tim Burton
Il semaforo: Giallo

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