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#Review – “L’Ipnotista” non ipnotizza lo spettatore ma…

L’Ipnotista” di Lasse Hallström – tra i suoi lavori precedenti ricordiamo “Chocolat” e “Le Regole della Casa del Sidro” – è un thriller svedese basato sul romanzo omonimo a firma di Lars Kepler. Questo nome altro non è che uno pseudonimo, utilizzato dai coniugi Alexander e Alexandra Ahndoril per firmare i loro romanzi scritti a quattro mani. I due hanno carriere parallele – l’uno drammaturgo, l’altra critica letteraria – ma nel 2010 si uniscono per firmare un libro evento che ha venduto 600.000 copie nella natia Svezia e 350.000 in Italia, edito da Longanesi.

Per Hallström si tratta del primo approdo al thriller, lui abituato a pellicole molto più leggere. A coadiuvare i suoi sforzi porta con se un cast solidissimo di ottimi attori svedesi, che per altro notiamo con piacere ottimamente doppiati in italiano: Tobias Zilliacus nel ruolo dell’investigatore ossessivo della polizia criminale Joona Linna, Mikael Persbrandt in quello dello psicologo ipnotista Erik Maria Bark ormai in declino, e Lena Olin in quello di Simone Bark, moglie tradita del medico. La trama si svolge nel periodo prenatalizio. Mentre tutto il paese si appresta alle festività, una brutale serie di omicidi stermina un’intera famiglia. Unico superstite e testimone pare essere il figlio maggiore, miracolosamente salvo ma ormai in coma. Il detective Linna cercherà di convincere l’ipnotista Bark a collaborare, per estrarre informazioni dal ragazzo, ma tutto cambierà quando la minaccia colpirà anche la famiglia dell’ipnotista.

Le origini letterarie del film sono evidenti, così come la necessaria riduzione che è stata apportata all’opera. Quel che risalta maggiormente è che di una struttura narrativa ampia si siano potuti salvare solo gli eventi cardine. Così facendo, però, il costrutto della trama pare francamente scontato, prevedibile, ma soprattutto artificioso: certe informazioni vengono fornite allo spettatore esattamente un istante prima del necessario per giustificare la scena successiva, quando tra intuito e logicità potevano tranquillamente essere evidenti sin da prima. Se questa vi pare una recensione negativa del film, è perchè stiamo tutti sbagliando metriche di giudizio.

Il film infatti, pubblicizzato come thriller, è in realtà molto parco di vere scene da brivido, e più interessato a divenire un dramma familiare, sviscerando i rapporti tra i componenti delle varie famiglie. Anche i brutali omicidi del prologo vengono resi disturbanti non tanto dall’efferatezza del crimine, ma dall’ambientazione calda del focolare domestico devastato dalla furia omicida. Non c’è molto sangue, non c’è mai un eccesso orrorifico da splatter, ma è la stessa ambientazione domestica, apparentemente placida, a costruire l’angoscia del film. Un pasto in cucina, il sonno sul divano: situazioni quotidiane, abituali, che vengono stravolte dall’intervento di terzi.

Quello che ci ha colpito in particolar modo è l’interazione tra l’ipnotista e sua moglie: Persbrandt e Olin affrontano i loro ruoli in modo assolutamente convincente – leggermente meno la Olin, ad onor del vero. In taluni dialoghi tra i coniugi, a metà strada tra grottesco e drammatico, lo spettatore ha veramente la sensazione di star assistendo ad un reale litigio in famiglia. Il pregio maggiore della pellicola è appunto la qualità delle interazioni tra i personaggi e la bravura del cast. Zilliacus ha in mano però un ruolo un pò troppo stereotipato per riuscire a dare quel quid in più al detective Linna.

La sceneggiatura in se abbiamo già detto quanto sia asciugata rispetto al romanzo, così come abbiamo spiegato che le svolte risulteranno abbastanza prevedibili e avranno innegabilmente tutte il retrogusto di “già visto“. Anche il finale potrebbe non cogliervi di sorpresa. Eppure la resa scenica è assolutamente un climax da manuale, merito delle ottime interpretazioni del cast e di una scenografia naturale assolutamente perfetta – nota a margine, la fotografia del film è molto buona per tutta la pellicola, anche se persiste una fastidiosa sensazione di “televisivo” per tutta la visione.

“L’Ipnotista” è un buon film, non ottimo, che non vi stupirà con una trama originale, ma ripropone tanti “vecchi trucchi” in una veste molto gradevole, e con un ottimo cast; ma soprattutto, colpisce più emotivamente sui sentimenti che dando brividi di paura al pubblico. Scegliete voi se è questo il vostro gusto.

“L’Ipnotista” di Lasse Hallström
Il semaforo di VelvetCinema: Luce Gialla

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