Devil’s Knot – Fino a prova contraria: Colin Firth indaga su omicidi e satanismo

Arriva nelle sale italiane giovedì 8 maggio Devil’s Knot – Fino a prova contraria, pellicola diretta da Atom Egoyan che ha come protagonisti Colin Firth e Reese Witherspoon e ricostruisce la vicenda degli omicidi a sfondo satanico che nel 1993 sconvolsero West Memphis, cittadina dell’Arkansas. Tre adolescenti (Daniel Echols, Jessie Misskelley Jr. e Jason Baldwin) furono condannati ingiustamente per la morte di tre bambini, nonostante l’assoluta mancanza di prove, e riuscirono a riconquistare la libertà soltanto dopo diciotto anni di reclusione.

Il caso in questione divenne noto come “I tre di West Memphis” e il film si focalizza sul calvario della madre di uno dei ragazzini uccisi (la Witherspoon), che all’inizio crede nella colpevolezza dei giovani accusati ma gradualmente si ricrede anche tramite il lavoro dell’investigatore privato Ron Lax (Firth). Fu proprio quest’ultimo a scoprire che il Dna trovato sui corpi dei piccoli uccisi non corrispondeva con quello dei presunti colpevoli. Eppure ciò non bastò a farli scagionare. I tre sono ugualmente finiti in carcere per uscire nel 2011 grazie a un cavillo legale. La giustizia statunitense, tuttavia, ha continuato a considerarli colpevoli.

La sceneggiatura di Devil’s Knot – Fino a prova contraria porta la firma di Scott Derrickson e Paul Harris Boardman, già autori dello script di The Exorcism of Emily Rose, ed è tratta dal libro Devil’s Knot: the true story of the West Memphis Three. Al termine del processo Echols, allora l’unico maggiorenne, fu condannato alla pena di morte mentre Baldwin e Misskelley Jr. ancora minorenni furono condannati all’ergastolo. Nel luglio 2007 gli avvocati di Echols, in possesso di nuove prove, hanno chiesto la riapertura del caso e nel 2010 la Suprema Corte dell’Arkansas ha reso possibile il raggiungimento di un accordo in base al quale, pur ribadendo la loro innocenza, i tre condannati hanno riconosciuto che le accuse a loro carico erano fondate e si sono dunque dichiarati colpevoli, rinunciando così alla possibilità di fare causa allo Stato per gli anni ingiustamente trascorsi in prigione.

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