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Mio papà: Giorgio Pasotti e Niccolò Calvagna commuovono nel film di Giulio Base

Era un giorno come tanti altri, era un treno fra mille treni. Doveva essere un viaggio normale, magari anche un po’ noioso, invece si è tramutato in qualcosa di speciale. In una creazione. Perché su un vagone si sono incontrati Giulio Base e Giorgio Pasotti. Stretta di mano, ciao come stai, poi l’inizio di una chiacchierata. Chiacchierata che, chilometro dopo chilometri, si è fatto sempre più seria. Fino a posarsi sui cosiddetti affetti illegali, ovvero quelli che non sono riconosciuti dalla legge ma hanno il cuore e l’anima dalla loro parte. Pasotti, gli affetti illegali, li conosce bene. Perché la compagna Nicoletta Romanoff, quando è cominciata la loro relazione, aveva già due figli. Figli che in un certo senso e gradualmente, a costo d’impegno e dedizione, per certi versi sono diventati suoi. Eppure non lo sono, non lo saranno mai. O forse sì. Un casino, insomma, sia pur dotato di aspetti meravigliosi. Una questione delicata che è diventata il soggetto di un film, poi una sceneggiatura, poi… Poi un film, appunto. Mio papà. Presentato al Festival internazionale del film di Roma 2014, fuori concorso nella sezione Alice della città, e accolto da applausi e commozione.

Pasotti interpreta Lorenzo, uomo che per mestiere fa il sommozzatore in una piattaforma petrolifera e per svuotarsi la mente, nei ritagli di tempi, vive avventure con donne che per lui non significano nulla e che durano una notte. Al massimo qualche giorno. Tutto cambia quando entra in scena Claudia, ovvero Donatella Finocchiaro. Che sconvolge la vita di Lorenzo, in tutti i sensi. S’innamorano sul serio, e già questa è una rivoluzione. Solo che Claudia ha un bambino di sei anni, Matteo, i cui panni sono indossati da un bravissimo – sempre più bravo, anzi – Niccolò Calvagna. E questo piccolino riesce a catturare il cuore del “patrigno” (brutta parola, secondo Pasotti). Diventano come padre e figlio. Ma non sono padre e figlio. E allora saranno pure costretti a dividersi, senza che nessuno tuteli i loro diritti perché diritti non ne hanno.

Pasotti, come dicevamo, firma il soggetto e la sceneggiatura. Perché conosce assai bene la materia: “Quello del film è un tema attualissimo – ha spiegato – che ha l’urgenza di essere raccontato. Oggi le famiglie allargate, che nascono sulle ceneri della famiglia tradizionale sono sempre più numerose, ma queste persone, in un’ipotetica nuova separazione non sono per niente tutelate. Una tutela, quella di cui parliamo, non certo economica ma sentimentale, cioè il diritto di poter continuare a sentire e vedere una creatura che hai imparato ad amare e il cui amore è corrisposto“.

Anche Base ha vissuto un’esperienza simile, s’è ritrovato in un rapporto d’amore padre-figlio non suggellato dal legame di sangue; le esperienze personali di entrambi, tuttavia, rappresentano solo un punto di partenza. La volontà ultima è quella di accendere i riflettori su una problematica che, pur avendo un respiro ben più ampio, continua a essere ignorata o quasi. E invece meriterebbe di finire sul tavolo delle istituzioni.

Ma al di là degli obiettivi, questa è una pellicola ben fatta. Delicata e tenera al punto giusto. Qualcuno ha “accusato” il regista di aver utilizzato toni troppo televisi, qualcun altro di aver punto sulla potenza strappalacrime. A noi sembra semplicemente un film frutto di una sensibilità autentica, di un’esperienza consolidata e di un sodalizio sia umano che artistico. Mio papà arriverà nelle sale il 27 novembre, nel cast anche Fabio Troiano, Ninetto Davoli, Emanuela Rossi e Valerio Base.

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