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Michael Fassbender è Frank: quando la creatività non ha bisogno di un volto

Jon ha un lavoro insoddisfacente nell’ufficio di una cittadina britannica ma improvvisamente il suo sogno di diventare rockstar sembra avverarsi: inizia così Frank, film diretto da Lenny Abrahamson con protagonista l’attore del momento, Michael Fassbender, nascosto per tutto il tempo sotto una maschera di cartapesta, con sommo dispiacere delle fan. La pellicola uscirà nella sale il 13 novembre e l’attesa è altissima, viste le numerose recensioni positive che hanno accolto il film negli Stati Uniti.

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Frank fa tenerezza, da subito: un novello Forrest Gump che per difendersi dal mondo deve indossare una maschera, che gli permette di esprimersi ed essere sé stesso. Frank ha però anche un dono, visto che dopo averlo incontrato nessuno sarà più lo stesso; e’ un genio della musica e una persona un po’ folle, che riesce ad essere gestita solo dalla tastierista del gruppo, interpretata da Maggie Gyllenham. L’equilibrio del gruppo, già precario, verrà totalmente rotto dall’arrivo dell’aspirante musicista Jon (Domnhall Gleeson), ingaggiato improvvisamente per completare le registrazioni del disco. Con il nuovo arrivo la band si aprirà al mercato, e con il successo arriverà l’interesse dei mass media, soprattutto verso Frank.

Ispirato a Frank Siderbottom, “identità segreta” del musicista inglese Chris Sievey, il film scorre veloce tra una parte comica e una tragica; il personaggio di Fassbender sublima le sue nevrosi attraverso la musica e riesce così a sconfiggere i suoi fantasmi interiori e ad esprimere quello che prova, tutte cose che non riesce a fare nella vita “reale”, senza maschera. Michael Fassbender è bravissimo a recitare senza la mimica facciale, ma a lasciar trapelare i sentimenti attraverso gesti e voce, senza mai togliere la finta faccia dal viso. Un film originale, che mira a rispondere alla domanda, tante volte posta: “quanto è importante l’identità di una persone per avere successo?” La maschera indossata da Frank diventa così una metafora del bisogno di apparire e del rifiuto di farlo, della voglia di essere sé stessi aldilà dell’immagine e della possibilità di esserlo soprattutto non dando un volto alle emozioni.

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