La lama nel corpo, Guido Colletti sulle immagini femminili nell’horror italiano

Guido Colletti ha scritto “La lama nel corpo: immagini femminili nell’horror italiano” edito da Mimesis editore e appartenente a una splendida collana di cinema.

Abbiamo avuto la possibilità di intervistare il saggista per toglierci alcune curiosità sul libro in questione. Siamo stati così in grado di analizzare, in maniera trasversale, un mondo del cinema nascosto e forse in questo ultimo periodo dimenticato dopo essere stato esaltato per almeno un ventennio. Andiamo però ora ad ascoltare le parole di Colletti e cosa l’ha portato a scrivere questo libro/saggio sul cinema.

Come nasce l’idea de La lama nel corpo?

È il frutto di una rielaborazione della mia tesi di dottorato. Sono state tagliate alcune parti e aggiunte altre, come tutta la parte sui manifesti e sui fumetti, per rendere il tutto più divulgativo. È stato un pò un sogno che avevo da tanto tempo, fare un’opera a largo respiro sull’horror italiano. L’idea di trattare un lungo periodo che va dagli anni Sessanta agli anni Ottanta attraverso una lettura semiotica e culturale ho pensato che fosse originale. A fare da collante c’è la figura femminile e i gender studies, di grande attualità oggi.

Che impatto ha avuto la donna nel cinema horror?

Determinante direi. La donna è il faro che illumina l’horror, ma non solo in Italia. L’horror ha saputo dare molte sfaccettature alla donna e ne parlo ampiamente nel mio libro.

Nel cinema italiano abbiamo visto diversi personaggi che hanno fatto la storia, secondo lei l’horror italiano è quello che ha usato maggiormente la figura femminile?

L’horror italiano, ma soprattutto il thriller, dato che poi a un certo punto la distinzione diventa più sottile, ha erotizzato molto l’icona femminile e ne ha fatto un motivo di turbamento nello spettatore, una figura tanto desiderata quanto temuta.

Barbara Steele è sicuramente una delle interpreti più importanti, che ne pensa?

Barbara Steele turbata
Barbara Steele in La Maschera del Demonio (VelvetCinema)

Barbara Steele è forse uno dei pochi esempi di vere e proprio icone femminili nell’horror, in questo caso nel gotico, quei casi in cui un volto, un nome viene inevitabilmente associato al genere. La Steel è l’eroina o l’antieroina per eccellenza, è il phisique du role della dark lady. Nel cinema thriller o horror non sempre è avvenuto che ci siano stati esempi di ruoli femminili ricorrenti, per “antonomasia”. Poteva magari esserci un’attrice che venisse preferibilmente scelta per interpretare un horror, come Daria Nicolodi, ma magari con ruoli sempre diversi, oppure attrici di genere che non si cimentavano soltanto nell’horror, ma spaziavano qua e là all’interno di un cinema industriale.

E Clara Calamai…

Clara Calamai impaurita
Clara Calamai in Profondo Rosso (VelvetCinema.it)

Una grande attrice, ha fatto tanti film, in alcuni ha interpretato ruoli femminili moralmente discutibili (per l’epoca). Ironia della sorte, il suo nome è legato anche a due film-simbolo fondamentali per la storia del cinema, un noir reo-realistico, il capolavoro viscontiano “Ossessione” e “Profondo rosso”, la sua ultima apparizione cinematografica. Di certo la Calamai non è un’icona horror ma il suo personaggio della vecchietta in impermeabile ha turbato il sonno di milioni di italiani e sicuramente i più giovani, come me, la ricorderanno per sempre in “Profondo rosso”.

Vuole fare qualche altro nome?

Gli occhi di Edwige Fenech
Edwige Fenech in Lo strano vizio della signora Wardh (VelvetCinema)

Bé, sicuramente Edwige Fenech un ruolo importante l’ha avuto nella storia dell’horror e del thriller. Viene soltanto ricordata per le commedie sexy, ma in realtà, accanto a Sergio Martino ha realizzato dei film come “Lo strano vizio della signora Wardh” e “Tutti i colori del buio”, claustrofobici, eroticamente morbosi e con un linguaggio davvero innovativo per l’epoca. E poi…non dimentichiamo Mimsy Farmer, inquieta, nevrotica e le sue ottime interpretazioni in “Quattro mosche di velluto grigio” di Argento e il polanskiano “Il profumo della signora in nero” di Francesco Barilli.

Il mondo femminile è sicuramente molto più complesso di quello maschile, che ne pensa?

Complesso ma anche molto semplificato nel mondo dello spettacolo. L’immagine che esce della donna è quella che corrisponde al desiderio o all’idea che si è fatto l’uomo di lei. Nel libro metto a fuoco anche quest’aspetto: certi contenuti narrativi esistono in funzione dell’uomo, del suo sguardo (male gaze). Ho però voluto dimostrare lo sforzo di certi registi, come Argento, di andare al di là del semplice concetto di donna-oggetto, per passare invece all’uomo-oggetto. Una sfida difficile quando parliamo di cinema di cassetta, perché è un tipo di cinema che si deve mettere al servizio del pubblico e sottostare a certe convenzioni di genere, il più delle volte molto sessiste. Diciamo però che in troppi si focalizzano sul fatto che Dario Argento ha messo in scena solo vittime femminili, mentre in realtà ha messo in scena anche eroine molto coraggiose e assassine.

Ha dovuto fare delle ricerche importanti per scrivere il libro?

Direi che partendo dall’idea iniziale, dimostrare l’esistenza di altri stereotipi femminili che non fossero solo quelli legati alla “vittima”, ho lavorato più che altro sul concetto di final girl (l’eroina che sopravvive all’assassino o al mostro e dà una svolta alla vicenda)…quindi mi sono confrontato con materiale americano per vedere se certi modelli teorici fossero compatibili con il cinema italiano. Non esiste molta letteratura italiana che si occupa di cultural studies e gender studies nell’ambito del cinema horror…per cui lo sforzo è stato quello di collegare al meglio informazioni e visioni diverse.

A costa sta lavorando ora?

A un’opera collettiva e a un articolo ancora sul ruolo dell’erotismo nel cinema horror.

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