
The Last of Us e non solo: perché non tutti i videogiochi dovrebbero diventare film o serie TV (www.velvetcinema.it - X DiscussingFilm)
The Last of US è soltanto l’ultimo esempio di un prodotto videoludico che finisce in televisione: perché non dovrebbe avvenire per tutti.
Specialmente negli ultimi anni, sono andate sempre più di moda le trasposizioni dai videogiochi alle Serie TV e al cinema. Talvolta funzionano e altre volte sono meno adatte a uno scenario meno immersivo e più passivo. Giocare a un videogioco non è infatti come guardare una serie o un film. Il compito, nel secondo caso, è più arduo da parte di chi segue e di chi si occupa del film in prima persona. Trasportare una serie di persone a tal punto da entusiasmarle guardando e sentendo “e basta” è infatti una missione difficilissima, che riesce a ben pochi attori, registi e sceneggiatori all’anno.
Nel panorama videoludico, invece, il giocatore è in una posizione attiva. La storia non la scrive lui, i personaggi non li sceglie lui, gli scenari, gli eventi, i luoghi neanche (o almeno non in un videogame lineare come quello di The Last Of Us), ma nonostante questo è il giocatore o la giocatrice a muoversi dentro lo schermo. Guardando e osservando, ma non di certo in modalità passiva. Questa, se vogliamo, è la prima ragione che rende ostico l’obiettivo di rendere appetibile un prodotto videoludico al cinema o in una serie televisiva.
Perché non tutti i giochi dovrebbero finire al cinema o in una serie: le motivazioni
Facciamo una premessa; questo non solo non è una critica nei confronti di un videogioco, ma neanche verso le produzioni delle serie televisive e cinematografiche. Inoltre, non vale per ogni progetto. Pensiamo ad Until Dawn, videogioco survival horror del 2016 diventato un film da poche settimane, o a Fallout. Quest’ultima è una serie TV che nella sua prima stagione ha raccolto davvero un sacco di consensi sia da parte del pubblico precedente e da quello meno incline a conoscere la saga ambientata nel mondo post-apocalittico. Anche la prima serie di The Last of Us aveva funzionato. Non sempre, però, il miscuglio di formule è ideale.

Ed è proprio quello che, probabilmente, è capitato alla stagione due di The Last of Us. Le critiche, fin dai primi episodi della nuova stagione, hanno attecchito nei confronti del franchise iconico nato dalla Naughty Dog. Chi si è lamentato del cast, chi di alcune scelte narrative non esattamente in linea con i personaggi e il racconto degli eventi di The Last of Us Parte Due. Oltre al problema della grande differenza fra giocare a una storia e guardarne una, l’altra motivazione che ha reso The Last of Us – e non solo The Last of Us – un prodotto poco incline ad essere eccezionale tanto quanto lo è stato per i videogiocatori, è che fondamentalmente quello che può essere realizzato in un gioco spesso è molto difficile ribadire in uno schermo.
Non sempre si possono scegliere personaggi esteticamente uguali o simili al prodotto originale, con le stesse voci e che agiscono al solito modo. E poi c’è un’altra ragione che porta a questa discrepanza: la mentalità di un videogiocatore non è uguale a quella di uno spettatore. Non può essere mantenuto lo stesso identico prodotto per funzionare con un altro tipo di pubblico. Quindi, qual è la soluzione? Come abbiamo detto a inizio articolo, la moda di trasporre i videogiochi in film o serie TV con il passare degli anni aumenta sempre di più. Forse, però, sarebbe il caso di lasciare a ognuno il “suo mondo”, perché non tutte le case vestono bene con gli stessi colori. A volte una storia va bene in un contesto ma è meno valida in un altro. Specialmente quando passa da essere traboccante di violenza, brutalità e odio a un prodotto a sprazzi (ma neanche troppo) adatto più per gli adolescenti che per un pubblico adulto.