Squadra antimafia 6, Fabrizio Nevola: “Ho affrontato Ettore Ragno e le sue certezze”

Un tavolino, un pomeriggio romano, un sole d’estate. E Fabrizio Nevola che parla e gesticola. Gesticola sempre, come quasi tutte le persone del Sud. Gesticola come le persone che hanno mille pensieri da tradurre in parole ma è come se si rendessero conto che le parole, da sole, non bastano. Che magari un movimento della mano e delle braccia può renderle più efficaci. Più dritte o più rotonde. E nel pomeriggio di un’estate romana Fabrizio, napoletano in ogni sua fibra e cellula, racconta. Qualcosa, non tutto. Cambia spesso marcia, inverte direzione, cambia anche lo sguardo – uno sguardo chiaro – più volte. In quello sguardo si leggono la passione per il suo mestiere d’attore, quell’inquietudine che forse accompagna buona parte di chi ha superato i trent’anni ma ancora non vede la propria strada delineata e non sa se ciò sia meglio o peggio (perché le strade troppo ben tracciate, poi, possono anche annoiare…); si leggono i sentimenti contrastanti che possono derivare da chi ha scelto di fare l’attore e dunque deve camminare in bilico, mettere in conto delusioni, misurarsi con sfide non annunciate. O prepotenti, anche se al contempo salvifiche. Una di queste, per lui, è stata la chiamata per Squadra antimafia 6.

Fabrizio Nevola è fra i nuovi interpreti. I nuovi cattivi. Presta volto, corpo e anima a Ettore Ragno, il capo di una famiglia mafiosa determinata a mettere le mani sulla città. E’ da poco uscito dal carcere e si sa: la permanenza dietro le sbarre, nel mondo criminale, permette di guadagnare potere e rispetto. Rende i pesci grandi e pronti a guidare – oppure mangiare – i piccoli. Ed Ettore mette subito le cose in chiaro, cominciando da fratelli e cugini: comanda lui. E comanderà sempre di più, sempre più forte.

Ettore Ragno è un personaggio dalle mille sfumature.
E’ un personaggio che va scoperto. Prende il controllo della famiglia e va dritto per la sua strada, ma non è cosciente di essere malvagio. Lui è nato in mezzo alla criminalità, non conosce e non concepisce un mondo diverso da quello. Ha una sua forma mentis ben definita, in base alla quale è convinto di essere nel giusto. Essere un criminale, per lui, è semplicemente un lavoro.

Quanto, nella costruzione di questo personaggio, ti ha aiutato il fatto di essere nato e cresciuto in una città non semplice come Napoli?
Non è una questione di ambiente (nei suoi occhi passa un lampo, ndr), non c’entra niente Napoli. Perché qualsiasi città ha le sue parti negative e positive. Purtroppo il Sud continua ad essere accompagnato da una serie di pregiudizi e chiacchiere che di certo non aiutano. Il fatto è che noi siamo più teatrali, quindi tutto diventa più eclatante. Ma le stragi accadono ovunque, la delinquenza è ovunque. Anche a Milano, anche in tutto il Nord.

Ok, le origini e la provenienza non influiscono. Quali mezzi hai utilizzato, allora, per dar vita ad Ettore Ragno?
Vedi, credo che si stia diffondendo uno stile di recitazione in base al quale spesso l’attore finisce per interpretare quasi se stesso. Prima non era così. Forse prima contava di più la tecnica. Quella che ti permette di interpretare bene un delinquente anche se non hai vissuto in mezzo alla strada, non hai sparato e lanciato bombe ma vieni da un contesto borghese. E viceversa. Ritengo conti molto di più il lavoro di ricerca e documentazione, anche se c’è sempre poco tempo. Vieni a sapere una settimana prima che ti hanno preso, di certo non hai settimane a disposizione.

E come hai utilizzato il tempo a disposizione?
Io ho passione per il mio lavoro e per il genere umano: m’appassionano sia i lati positivi che negativi. Ecco, questo mi è servito. E comunque non è importante tanto cosa ho dato io ad Ettore Ragno, quanto cosa ha dato lui a me…

Cosa ti ha dato?
Innanzi tutto questo ruolo è e resterà fondamentale per la mia formazione, rappresenta un momento importante anche perché mi ha permesso di usare chiavi drammatiche che finora non avevo potuto toccare. E poi, in un certo senso, mi ha dato molta più sicurezza. Ha un carattere forte e assai distante dal mio. Ha le sue convinzioni e basta. Incrollabili. Io, invece, metto sempre in discussione le mie. Ecco, affrontare Ettore e le sue certezze mi ha aiutato a mantenere le mie. O almeno a non farle traballare sempre…

Sei entrato nel cast di Squadra antimafia grazie a un provino?
Sì. Per fortuna ho avuto la possibilità di fare un provino col regista, cosa che accade piuttosto di rado perché di solito ci sono intermediari vari. Ma la casting di Squadra antimafia è molto in gamba, fa il possibile per mettere in contatto direttamente col regista e l’incontro di due sensibilità artistiche è senza dubbio un valore aggiunto. Le idee si fanno più chiare. Capisci meglio le intenzioni di chi sta dietro la macchina da presa e puoi dimostrare di avere a tua volta idee valide. E modificarle proprio grazie al confronto.

E’ stato difficile integrarsi con gli interpreti “storici”?
Non è stato troppo difficile, anche se un po’ di “nonnismo” si sente ed è anche giusto così. Accade tutte le volte che si entra in un ambiente nuovo, nel quale altre persone vivono da molto più tempo. Poi c’è chi ti accoglie bene e chi ti accoglie meno bene.

Il bilancio finale?
E’ stata un’esperienza stancante. Ma lo dico in senso positivo: finalmente ho avuto modo di stancarmi, mettendoci tutto me stesso (sorride, ndr)! E’ stato un lavoro molto articolato, ho dovuto levare la mia napoletanità dalla voce e riportare tutto in lingua italiana per poi tradurre con sonorità siciliane ma senza esasperare. Ho cercato di costruire un “cattivo” senza eccedere: né troppo, né troppo poco. Ho prestato attenzione a ogni sfaccettatura, spero che i risultati siano di qualità.

Sei consapevole del fatto che, con la messa in onda di Squadra antimafia 6, la tua vita potrebbe cambiare drasticamente. Che tante persone cominceranno a seguirti anche tramite i social network, ti cercheranno e ti scriveranno, alimentando una costanza attenzione nei tuoi confronti?
Beh, il riconoscimento legato al proprio lavoro fa sempre piacere. Inutile negarlo. Ma non è giusto che ti cambi la vita. Per quanto riguarda i social, io cerco sempre di rispondere a tutti e spero di continuare a riuscirci.

Non temi quindi che il pubblico possa diventare invadente?
Il pubblico è naturalmente invadente. Nel senso che è comprensibile che voglia sapere più cose possibili sui personaggi che ama e che, a tal fine, cerchi un rapporto diretto con gli interpreti. In un modo in cui è sempre più difficile sognare, le fiction in qualche modo aiutano a farlo. E così si prova a toccare il sogno con mano. Solo che a volte ci si dimentica che i protagonisti esistono a prescindere. E quasi sempre sono molto diversi dai personaggi.

Foto by Facebook

Impostazioni privacy