Sei mai stata sulla Luna?, Paolo Genovese: “Una storia di cui mi sono innamorato”

Dal cielo hanno buttato secchiate d’acqua per due giorni di fila, Roma è rimasta in bilico sull’orlo del panico e dell’esasperazione. C’è stato qualche danno, sono venuti giù pezzi di storiche mura ormai rese fragili da tutti quei secoli sulle spalle, le auto era meglio non prenderle ma coi mezzi pubblici non è che sia andata molto meglio. La terza mattina il sole è stato restituito, è arrivato il fine settimana. Paolo Genovese, da qualche parte della città, lavora al montaggio del suo nuovo film. Sei mai stata sulla Luna? è il titolo che suona anche come una promessa, l’ha scelto dopo essersi consultato con gli amici dei social network. In ballo c’era pure Dalle stelle alle stalle, però quella domanda, quel punto interrogativo è apparso più intrigante. Sfizioso, romantico al punto giusto.

Reduce dal successo di Tutta colpa di Freud, Genovese è quasi pronto per tornare nelle sale. E fronteggiare – dal prossimo 22 gennaio – una nuova sfida al botteghino, certo. Ma prima di tutto tastare la propria empatia. La capacità di conquistare il pubblico, insomma. Estrema cura nella sceneggiatura, coralità, spazi aperti, nuovi punti di vista per proporre storie che non possono essere del tutto inedite: ecco le armi messe in campo dal regista romano. E proprio in un campo – il gioco di parole calza a pennello – è ambientata buona parte di questa sua commedia. Un campo della campagna pugliese, dove coltivare ortaggi e verdure ma anche intere esistenze. Un paesino del Sud in cui si ritrova, suo malgrado, una giovane e snob giornalista che si chiama Guia, ha la madre spagnola e il padre pugliese ed è interpretata da Liz Solari (al suo esordio sul grande schermo). Ha un lavoro prestigioso, Guia. E prospettive che crescono all’ombra della Torre Eiffel. Però eredita un casale, proprio laggiù in Puglia, e decide di metterlo in vendita. Ecco perché si reca sul posto, sperando di chiudere la faccenda al più presto. Ma il destino la pensa diversamente. Guia s’imbatte in un contadino che ha le sembianze di Raoul Bova (e scusate se è poco…) e in una serie di altri personaggi bizzarri quanto interessanti: “Lei rivoluzionerà la vita a loro – spiega Genovese – ma loro rivoluzioneranno la sua“.

Qual è la genesi di questa storia e questo film?
Devo dire che c’è una componente di casualità. Desideravo fare una commedia sentimentale “pura”, ma la cosa non aveva ancora concretezza. Poi mi è stato chiesto di scrivere una sceneggiatura tratta da uno sceneggiato francese, ma quando poi l’ho visto non mi è piaciuto affatto. L’idea di base, tuttavia, era interessante: la dicotomia città-campagna. Non è roba nuova, intendiamoci. Però era da un po’ che non si parlava di questi archetipi antitetici. Insomma, alla fine ho deciso di provare.

Ma il tuo compito doveva limitarsi alla sceneggiatura.
Sì. Poi l’hanno letta alcune persone, tutte concordi nel definirla carina, bella… Bella, carina, così sospesa fra fantasia e realtà… Ho finito per innamorarmi (sorride, ndr). Ho pensato che in effetti c’erano tanti personaggi divertenti che non avrei più “incontrato”. Da lì alla macchina da presa il passo è stato breve. Il film è prodotto da Pepito Produzioni con Rai Cinema e con il supporto di Apulia Film Commission.

Le riprese si sono divise fra la Puglia, Milano e Parigi.
Sì. In Puglia perché lì ho trovato l’ipotetica campagna necessaria allo sviluppo della storia. Milano era la città, invece. Non esprimo giudizi di merito. Sono semplicemente due contenitori in cui i personaggi, per ovvi motivi, si muovono in modo nettamente diverso. Quanto a Parigi, il motivo sta nel fatto che mi piace viaggiare, girare all’estero (sorride, ndr). Trovo che sia sempre molto stimolante. E trovo che a volte si debba conservare la futilità delle motivazioni stesse.

Liz Solari e Raoul Bova sono i protagonisti di questa passione che scoppia inaspettata. Gli altri personaggi?
Giulia Michelini è l’assistente di Liz. Emilio Solfrizzi e Sergio Rubini sono i proprietari di due bar praticamente attaccati ma di stile opposto: il primo è un avanguardista, quindi il suo locale è chic e ultramoderno; l’altro è un tradizionalista incallito. Si conoscono da sempre e hanno un rapporto di amore-odio. Paolo Sassanelli è un agente immobiliare-macellaio, che ha l’incarico di vendere la masseria di Liz ma farà di tutto per non riuscirci; Dino Abbrescia è il notaio. Questo quartetto di attori pugliesi è davvero esilarante…

Neri Marcorè ha invece un ruolo parecchio particolare.
E’ un autistico con la passione per il sacerdozio. Per la confessione, in particolare. Così ogni tanto si mette la veste e va a confessare qualcuno. Ancora, Pietro Sermonti è il fidanzato di Liz, da lei mollato. Sabrina Impacciatore è la sorella di Rubini, donna molto romantica ma convinta che l’amore debba essere ammantato di mistero e dunque cercato fuori dal paese. Solfrizzi è pazzo di lei ma non ha il coraggio di dichiararsi perché Rubini lo ammazzerebbe. Nino Frassica è un contadino siciliano emigrato al Nord.

Scusa, ma non stiamo parlando sempre del paesino pugliese?
Sì, ma per il personaggio quello è già Nord. Non se la sentirebbe di spingersi oltre.

Ah, ok. Poi ci sono i camei di Maurizio Mattioli e Rolando Ravello.
Il cardinale che manda fondi neri fuori dal paese e un prete…

Quali sono state le scene più difficili da realizzare?
Beh, senza dubbio sono state molto faticose quelle relative alle sfilate milanesi. Non è stato possibile “usare” quelle vere, durante la Settimana della moda, dunque abbiamo ricostruito tutto. E’ stato un lavoro infinito.

La giornalista snob, dunque, dovrà scegliere se rinunciare a questo mondo dorato in nome dell’amore.
E il finale sarà inaspettato.

Come si fa a gestire così tanti personaggi in fase di sceneggiatura e così tanti attori sul set?
Eh… Non è una cosa razionale. Non può esserci un metodo preciso, o almeno io non ce l’ho. E’ una cosa di pancia, piuttosto.

Adesso dirai anche tu che l’atmosfera è sempre stata idilliaca?
… E’ la verità. Insieme siamo stati bene. E considera che la mia troupe tecnica è al novanta per cento la stessa da ormai sei anni; fuori dal set ci vediamo, siamo amici. E questo conta molto.

Sei mai stata sulla luna? è anche il titolo del singolo scritto e cantato da Francesco De Gregori.
Un mio grande orgoglio. De Gregori lo metto fra i miti, insieme ai Pink Floyd e Bob Dylan; l’ho incontrato per caso a Los Angeles, abbiamo parlato di varie cose fra cui il mio film e mi ha chiesto di fargli leggere la sceneggiatura. Poi si è proposto di scrivere per scrivere e interpretare la canzone. Grande orgoglio, sì.

Perché hai utilizzato il social network per scegliere il titolo definitivo?
Ma in realtà non è stata una cosa decisa a tavolino, mi è venuto spontaneo: quale miglior feedback dei social, che ti permettono con un click di raggiungere migliaia di amici, persone? Tra l’altro, in questo caso, il riscontro è stato senza dubbio veritiero perché ho solo chiesto quale titolo preferissero. Non c’era motivo per non dire la verità. In più trovo che sia una cosa carina coinvolgere gli altri in cose che senti “vive” e che ti stanno a cuore. Insomma, mi sembra che funzioni. Io uso molto il web.

Il film è ormai finito: sei soddisfatto?
Senza falsa modestia, lungo il mio percorso finora non ho mai fatto flop… Dinanzi a me stesso. Nel senso che, al di là degli incassi, può capitare di girare un film, magari in un determinato modo, e poi pentirsene. Ecco, non mi è ancora successo anche se il rischio c’è eccome. Non mi è successo nemmeno con questo film, anche se ancora è presto per dare una risposta definitiva. Bisogna comunque attendere l’uscita in sala, essere a mente fredda. Perché un’altra cosa è innegabile: il pubblico esercita una grande influenza. Se cinque milioni di persone vanno a vedere il tuo film, l’opinione con cui sei uscito dal montaggio si gonfia. Il punto è proprio questo: non bisogna farsi condizionare dal giudizio del pubblico, ma prenderne atto sì. E’ fondamentale.

Foto by Facebook

Impostazioni privacy