#Review – “Die Hard 5”: un buon Bruce non può bastare

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Non ce lo dovevate fare, ci siamo offesi e la prendiamo sul personale. Le VHS di “Die Hard – Trappola di cristallo” e di “Die Hard – Duri a morire” le abbiamo consumate in quelle mattine d’inverno, quando essendo raffreddati non si andava a scuola e si restava a casa. Bruce Willis è un eroe della nostra generazione, i suoi film erano spesso in heavy-rotation nel videoregistratore. Ora che la premessa strappalacrime ce la siamo tolta dal gozzo, andiamo al sodo.

Il film è inesistente, davvero poca cosa di fronte all’icona pop che è (stato?) Bruce Willis: abbiamo avuto modo di giocare videogames ben più realistici come ambientazioni, gasanti come stunt e intriganti come trama: un esempio fra tutti, la saga di “Uncharted” su PlayStation 3. La trama di “Die Hard: Un buon giorno per morire” vede John McClane (Bruce Willis), coriaceo poliziotto new yorkese in pensione, ritornare all’azione andando a riacciuffare per le orecchie il figliol prodigo John Jr. “Jack” McClane (Jai Courtney)in quel di Mosca. Il ragazzaccio si è messo nei pasticci e rischia l’ergastolo, o peggio, per un’accusa di omicidio. Ne succederanno di tutti i colori, con un bodycount dei morti non indifferente, e un viaggetto fino alla ridente Cernobyl.

Il film è una sequela di scene action praticamente slegate l’una dall’altra, poco sensate, e con un tasso di improbabilità che sfiora l’infinito in modo fastidioso. Nel mezzo vediamo un paio di improbabili pistolotti con tanto di violini di sottofondo di papà John Senior al figlioccio steroideo John Junior, cosa che non ha mai funzionato al cinema tranne che a Sean Connery e Harrison Ford in “Indiana Jones e l’Ultima Crociata“, ma quella è ben altra storia. La regia di John Moore è dilettantesca: una scialba copia degli zoom, della shakycam e dei colori pastosi di Michael Bay. La scrittura di Skip Woods è sostanzialmente inutile al livello che sarebbe meglio evitare completamente i dialoghi, che non fanno altro se non rovinare i personaggi. La cosa più fastisiosa è notare come l’alto budget del film sia stato sperperato con effetti speciali da “Avatar” virato in rosso, inquadrature inutili e prospettive di dubbio gusto. Per di più il tutto è montato malissimo: le scene action sono di una lentezza e di una bruttezza rara, specialmente le scene di inseguimento – e voi ormai sapete il nostro amore viscerale per le scene di car-chase. La cosa assurda è che Mosca sarebbe perfetta per queste scene – vedi “The Bourne Supremacy“, qui malamente citato – non solo per la location suggestiva ma anche per la tipica caratteristica degli stuntman russi di essere completamente pazzi e di buttarsi in imprese che rasentano il suicidio. Invece qui siamo costretti a sorbire una sequela di salti improbabili e di incongruenze decisamente oltre la soglia della sospensione dell’incredulità. Potremmo chiudere la questione chiedendoci quanto avranno pagato Ford e Mercedes per far sembrare un Transit e una Classe G immortali allo scontro con un camion blindato di 15 metri.

Ma potremmo anche chiederci come sia possibile che in tutta la Russia non esistano poliziotti o soldati e si possa compiere qualsiasi efferratezza impunemente; come sia possibile bombardare con un elicottero militare Hind edifici civili per poi svolazzare su Chernobyl; come sia possibile andare in maglietta della salute – manco la canotta di John McClane ci hanno lasciato, manco quella! – a sparacchiare sul luogo del disastro nucleare più famoso della storia dell’umanità. Soprattutto potremmo chiederci perchè inserire una sottotrama spy-story che poi resta completamente dimenticata, perchè inserire riferimenti grossolani all’attualità politica della Russia per poi ridurre tutto ad una macchietta grossolana. Infine, perchè utilizzare una quantità così assurda di effetti speciali, totalmente inutili in un action spara-spara come dovrebbe essere Die Hard?! Sono domande a cui il film non può dare risposta, purtroppo.

Il film è pieno di piccole adorabili citazioni dei vecchi capitoli della serie, e Bruce Willis è veramente un dignitoso action-hero sulla via della terza età. Merita tutto il nosto rispetto, e la sua mole come icona ne esce solo leggermente scalfita da questo orrendo film. Buono anche il nerboruto Jai Courtney nel ruolo del figlio. Ma per quanto noi apprezziamo le americanate, apprezziamo solo quelle fatte bene. Anche senza voler far paragoni con saghe di maggior spessore intellettuale, questo film letteralmente impallidisce al cospetto dei suoi stessi predecessori sotto tutti i punti di vista. La brutta china intrapresa col quarto capitolo, che pur non ci era piaciuto moltissimo, di procedere per esagerazioni sempre più spinte, qui nel quinto capitolo raggiunge livelli decisamente oltre la sopportazione. Non si può trasformare una saga action in un brutto b-movie di supereroi per adolescenti scemi. Non si può rovinare un’icona pop come John McClane per lasciar giocare coi dollaroni degli effetti speciali un palesemente immaturo John Moore. Non si può. Noi invece possiamo sconsigliarvi questo film: non guardatelo, vi farà provare solo tanta nostalgia per i primi tre film originari della saga, che erano più coerenti, più onesti e più belli. Tremiamo solo al pensiero del vociferato sesto capitolo previsto tra un paio d’anni, ci dobbiamo aspettare John McClane nello spazio coi laser e con le astronavi?

Die Hard: Un Buon Giorno Per Morire di John Moore
Il Semaforo di Velvet Cinema: Luce rossa.

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