“Ugo aveva una profonda passione per la cucina e per i prodotti genuini, quelli che vedeva crescere sotto i suoi occhi. Le sue ‘cene dei dodici apostoli’, organizzate nella Tenuta di Velletri, erano celebri. C’erano tutti i volti che rappresentavano il grande cinema di allora: Mario Monicelli, Vittorio Gassman, Paolo Villaggio, Pupi Avati, Marco Ferreri, Luciano Salce… Per fare qualche nome. E quando cresci così, il cinema finisci per amarlo oppure per detestarlo“. Lui, Gianmarco, figlio di quel Tognazzi che con la sua arte ha scritto un capitolo della storia italiana, se n’è innamorato. Ma non ha scelto subito di recitare, no: “Sono sempre stato curioso di tutto ciò che fa parte del cinema, volevo avere una dimensione completa e osservarlo in ogni sfaccettatura. E d’altra parte c’era l’esempio di mio fratello Ricky, che con papà aveva uno scambio anche professionale: vivere il set è un’esperienza che va fatta, non importa se stai davanti o dietro la macchina da presa“. Così, nelle sue estati da adolescente, Gimbo – così lo chiamano gli amici, anzi così lo chiamano tutti – faceva l’assistente volontario alla regia. Zero compensi.
Com’è iniziata?
Sfruttando i contatti passati da casa, questo devo dirlo. Notando in me una certa inquietudine, forse dovuta all’età, Claudio Risi mi disse: ‘se vuoi fare lavorare nel cinema devi rompere le palle‘. Lo presi in parola e così un’estate, anziché annoiarmi, andai da lui. All’epoca stava girando Windsurf – Il vento nelle mai con Pierre Cosso. E’ iniziata così. E’ stato anche un ottimo modo per conoscere gente, rompere con la timidezza, dimostrare a Ugo che non ero un figlio di papà e non mi sedevo sugli allori.
Che ricordo hai di quell’esperienza?
Non è stata l’unica, ho fatto altre volte l’assistente alla regia. Per Ultrà, ad esempio, il film di Ricky in cui ho anche recitato. Simili esperienze mi hanno insegnato, tra l’altro, a conoscere e rispettare il lavoro di tutti gli operai specializzati. Odio quando sento dire che la cultura non dà da mangiare, non ho mai sentito una sciocchezza più grande. Per ogni produzione c’è un articolato organigramma che comprende diverse professionalità: dal costumista all’operatore, dallo scenografo al tecnico delle luci e così via. Tagliare i fondi per la cultura, per il cinema, significa togliere il pane a intere famiglie. Una volta eravamo grandi perché il nostro cinema era un’industria, ora si fa soltanto qualche film.
Quando è arrivata la decisione di recitare?
Non è stata una decisione netta e definita. Mentre ero sul set di Windsurf – avevo diciott’anni – è arrivata una telefonata di Carlo Vanzina che stava per cominciare le riprese di Vacanze in America; ha voluto vedermi e mi ha preso. E quella è stata la prima volta che ho recitato senza essere un figlio portato là dal padre.
Da allora non hai più smesso.
In effetti no, ma in quel primo periodo si è trattato soprattutto di una serie di coincidenze. Mi hanno proposto anche una serie tv, Versilia 66, ho fatto il conduttore… Insomma, non mi sono precluso alcuna esperienza. Soltanto in una fase successiva ho cominciato a scegliere. Anche perché fra l’88 e il ’90 c’è stata la rivoluzione della mia vita artistica.
Cos’è successo?
Ho incontrato Beatrice Bracco e cominciato a studiare con lei il Metodo, che non riguarda soltanto la recitazione ma è una scuola di vita. Ti apre a una serie di esperienze, ti spinge a farti mille domande sui personaggi da interpretare, ad analizzare i testi, a rompere le barriere personali. E’ stato fondamentale.
… La prima volta che hai messo in pratica questi insegnamenti?
E’ successo con Crack di Giulio Base. Erano i primi anni Novanta e si stava diffondendo il cinema sociale: a quello stesso filone appartengono Ultrà e Teste rasate.
E poi è arrivato il sodalizio professionale con Alessandro Gassman.
… Cominciato con lo spettacolo teatrale Uomini senza Donne al Teatro Argot di Roma, 45 posti. Nessuno si aspettava quel successo e invece Cecchi Gori ha voluto realizzare la trasposizione cinematografica e ci ha messo sotto contratto. Nel frattempo continuavamo a lavorare a teatro: insieme ad altri attori, poi diventati tutti noti, abbiamo rigenerato il circuito privato.
Film, spettacoli teatrali insieme, ma poi la decisione di dividervi…
In realtà avevamo deciso di prenderci solo una pausa, perché ormai ci chiamavano soltanto per ingaggi di coppia e le nostre individualità ne stavano risentendo. Non avevamo chiuso le porte ad altre offerte interessanti, solo che non ne sono più arrivate. E il motivo mi è tuttora sconosciuto, credo sia stato un vero spreco.
Negli ultimi anni stai lavorando tanto per le serie tv.
Non sono l’unico, lo stesso vale per Castellitto, Favino, Zingaretti, Bova… Siamo in tanti. Come dicevo, si fanno pochi film. E allo stesso tempo la tv ha alzato la qualità, di conseguenza offre ottime occasioni: per quanto mi riguarda, recitare in serie tv come Francesco e Maria Montessori è stata senza dubbio un’esperienza importante.
Continui anche con il teatro.
Il teatro è la vita dell’attore, la base, è tutto. Il vero attore lo vedi in teatro, il lavoro sul personaggio è continuo, le emozioni ogni volta diverse. Ma se il cinema è in crisi, per il teatro lo scenario è ancora più buio: la circuitazione si sta riducendo notevolmente, i Comuni non possono finanziare la stagione teatrale, gli spazi diminuiscono, si fanno meno tournée.
Da oltre dieci anni calchi le scene con Bruno Armando.
Sì, abbiamo fatto spettacoli belli e intensi insieme, con risultati che ci hanno dato soddisfazione. Presto riporteremo in scena Un nemico del popolo di Ibsen.
Sei nel cast del film Niente può fermarci, che arriva nelle sale il 13 giugno.
Sì, è la storia di quattro ragazzi affetti da diverse patologie che organizzano una fuga: un’esperienza reazionaria che naturalmente coinvolge subito i rispettivi genitori. Anche loro sono quattro e rappresentano diversi ceti sociali che d’improvviso devono convivere. E’ una commedia leggera, certo, ma che sa far riflettere. Io ho la parte di un uomo di potere, fin troppo visibile, e sono il padre del personaggio interpretato da Vincenzo Alfieri. I ragazzi sono tutti bravissimi. Vincenzo è una sorta di Ben Stiller (ridacchia, ndr).
Hai un ruolo anche in Mi rifaccio vivo di Sergio Rubini e Viaggio Sola di tua sorella Maria Sole.
In Mi Rifaccio vivo è proprio una cosa piccola: Sergio, che io stimo moltissimo, me l’ha chiesto in un modo così bello che non avrei potuto rifiutare. Il film di Maria Sole è stato fatto senza sfarzo eppure sta dando grandi soddisfazioni. Il pubblico ha apprezzato l’originalità del tema.
Forse non tutti sanno che hai un secondo lavoro…
Sì, anche questo frutto di una passione. Ho restaurato la sede dell’azienda agricola creata da Ugo, a Velletri, lasciando immutato il suo aspetto originario. Ho fatto mettere a posto le vigne e sono riuscito a riprodurre quello stesso vino che lui amava tanto e che arrivava a tavola portato dal contadino. L’etichetta, La Tognazza Amata, comprende il Syrah e il Velletri superiore bianco ottenuto dai vitigni Malvasia, Trebbiano e Bonbino. Il Syrah si chiama Antani, il Velletri si chiama Tapioco. E poi c’è l’olio, il Brematurato: la Supercazzola non tramonta mai (sorride, ndr). I prodotti si possono acquistare soltanto online oppure degustare sul posto. E’ tutto come ai tempi di Ugo, con una sola differenza: ho fondato un’associazione culturale tramite cui visitare quei luoghi che per lui erano insostituibili, quei luoghi da cui è passato il cinema. Idee, progetti, piatti da assaporare in compagnia. E Ugo è lì, la sua presenza si sente ovunque.
Foto by Kikapress