Pippo Delbono è arrivato al Festival di Locarno per presentare Sangue, unica pellicola italiana in concorso, causando un vero e proprio polverone. Che sta diventando sempre più denso. A far discutere è prima di tutto sono gli argomenti trattati: la storia della sua stessa sofferenza per la morte della madre e quella della moglie dell’ex brigatista rosso Giovanni Senzani; quest’ultimo, poi, racconta l’omicidio di Roberto Peci, fratello di Patrizio, primo Br pentito (ucciso nel 1981 dopo un sequestro di 55 giorni per ‘tradimento’).
Tematiche rese ulteriormente dure da precise scelte stilistiche: Delbono ha filmato gli ultimi giorni di vita di sua madre, senza risparmiare la chiusura della bara. Nel film, inoltre, si vede il funerale di Prospero Gallinari (fra gli assassini della scorta di Aldo Moro) in cui componenti rivali dell’organizzazione terroristica si incontrano nuovamente. Il regista va ripetendo – anche con una certa stizza – che non c’è alcun uso strumentale degli avvenimenti riportati, ma escludere ogni considerazione politica risulta parecchio difficile.
La proiezione è stata accolta sia con applausi che con sonori fischi, poi c’è stato un acceso dibattito durante il quale gli animi si sono nettamente divisi su due fronti. Anche perché, sia pur non in primo piano, si va delineando una sorta di amicizia fra Delbono e Senzani. L’ex brigatista – si sa – non si è mai pentito di ciò che ha fatto. E davanti alla macchina da presa dice di non credere nella Redenzione. Il suo modo di parlare e ricostruire i fatti, a tratti, gela il sangue. Eppure, Delbono indica come protagonisti di questo suo lavoro l’amore per l’universo, la fede, la voglia di vivere.
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