“Tutta colpa di Freud”: sul set Vittoria Puccini e Vinicio Marchioni

Via dei Coronari è una delle strade più suggestive di Roma. Si trova nel rione Ponte, risale all’epoca medievale e prende il nome dai venditori di oggetti sacri che un tempo là avevano le loro botteghe. E di botteghe ce ne sono ancora molte, da quelle parti: oggetti di antiquariato, abiti vintage, gioielli, soprammobili, bambole; la storia e il presente mescolati con abilità e poesia. Pare di essere dentro un quadro, i turisti si affiancano ai commercianti e ai residenti, i tavolini dei bar offrono ristoro e caffè, si cammina solo a piedi. Via dei Coronari, pomeriggio di un’estate che sta finendo ma ancora regala calore. Un passo segue l’altro, poi ecco un capannello di gente affacciato su Piazzetta San Simeone.

La fontana, una voce che chiede silenzio-per-favore, comparse. Macchine da presa, pannelli, giraffa, carrelli, luci. Si gira una scena di Tutta colpa di Freud, nuova commedia corale di Paolo Genovese prodotta dalla Lotus, che ha come interpreti principali Marco Giallini, Claudia Gerini, Anna Foglietta, Alessandro Gassman, Vittoria Puccini e Vinicio Marchioni. E adesso tocca a loro, Vittoria e Vinicio. Lei interpreta una libraria, lui il ladro sordomuto che finisce col prenderle il cuore.

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Movimento, azione. Lei è seduta vicino alla fontana, lascia vagare lo sguardo intorno, è assorta in chissà quali pensieri. Sta aspettando. Lui arriva trafelato, fisico asciutto e zaino in spalla. E’ in clamoroso ritardo. Le chiede scusa a gesti. Lei lo guarda con dolcezza, lo giustifica subito, è un perdono immediato. Eppure lo sguardo di lui si fa serio, è attraversato da un lampo d’ira. Fa per andarsene, col suo zainetto. Lei lo segue: “Mi vuoi dire cos’hai?“. Lui le risponde avvicinandosi alla lavagnetta del menu del ristorante là vicino, prendendo il gessetto e scrivendo: “Sono sordo, mica paralitico“. Ergo, prende l’accondiscendenza di lei come una sorta di offesa. Perché, fra persone “normali”, un ritardo del genere fa arrabbiare. E lui preferisce che lei s’arrabbi: “Se io sbaglio – scrive ancora – tu t’incazzi. Se tu sbagli, io m’incazzo“. Funziona così.

PAOLO GENOVESE, INTERVISTA: LEGGI

Una scena breve, bella, intensa. Che viene ripetuta ancora e ancora. Genovese guarda il monitor, ascolta. Aspetta di essere convinto fino in fondo. Il cast tecnico è veloce, gli spostamenti avvengono in una manciata di secondi, sembra che quell’attrezzatura non pesi niente. Invece pesa eccome. La Puccini e Marchioni ripetono le battute, trovano la concentrazione, si guardano, riprovano. Marchioni scrive quella frase che viene cancellata e poi riscritta al ciak successivo. Se tu sbagli, io m’incazzo. Lavoro intenso, ma grande calma condita di sorrisi: è questo ciò che colpisce di più. Nessuno mostra segni di stanchezza. Eppure fa caldo, la giornata è ancora lunga, probabilmente si andrà avanti fino alle ore piccole. Ma costruire una favola, in fondo, è sempre un piacere.

Foto by Velvet Cinema

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