“Dallas Buyers Club”, recensione: Mattew McConaughey punta all’Oscar

Sono passati 20 anni da quando Jonathan Demme ha diretto Tom Hanks in “Philadelphia”, rimasto finora l’unico blockbuster che parlava dell’AIDS. Ora Jean-Marc Vallée riaccende i riflettori sul tema con “Dallas Buyers Club”, con protagonista un sorprendente Matthew McConaughey – che, complice la sua faccia da schiaffi e gli addominali scolpiti, finora ci aveva abituati a ruoli da latin lover (vedi “Magic Mike”). La pellicola è ispirata alla storia vera di Ron Woodroof (McConaughey), un elettricista texano eterosessuale che contrae la malattia nella metà degli anni Ottanta, quando l’epidemia di AIDS era dilagante, nessuno sapeva come arginarla e i pregiudizi sui sieropositivi erano ancora molto forti (“Io non sono frocio!” urla il protagonista al medico che gli diangostica la malattia).

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Il regista mostra subito che Woodroof non è affatto simpatico, anzi: gli sceneggiatori Craig Borten e Melissa Wallack lo hanno dipinto come un uomo bigotto, omofobico e misogino, dallo stile di vita irregolare e sopra le righe, ma è inevitabile schierarsi al suo fianco quando il medico gli dà 30 giorni di vita e Woodroof comincia la sua battaglia per il diritto alle cure contro la Food and Drug Administration statunitense, per ottenere i cocktail di farmaci e integratori necessari ai sieropositivi per poter sopravvivere più a lungo.

Sulla sua strada Woodroff incontrerà il transessuale Rayon (interpretato da Jared Leto, il cantante dei 30 Second to Mars che ritorna sul grande schermo) e la dottoressa Eve Sacks (Jennifer Garner), personaggi inventati dagli sceneggiatori che rendono più fluido il racconto. Il cast rappresenta uno dei motivi principali per cui guardare questo film; in particolare, il McConaughey “splende” di luce propria: dopo aver infilato una serie di flop di critica e pubblico, come “The Lincoln Lawyer”, “Killer Joe” e “Mud”, l’attore potrebbe essere pronto alla sua prima Nomination agli Oscar.

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