Il giovane favoloso, Elio Germano: “Che emozione dormire nel letto di Giacomino”

Dieci minuti di applausi, consensi e ammirazione: >Il giovane favoloso di Mario Martone, proiettato in anteprima alla settantunesima Mostra del cinema di Venezia, ha superato le più rosee aspettative. Questo ritratto di Giacomo Leopardi, questo percorso emotivo e fisico che parte dall’infanzia per giungere fino alla morte in quel di Napoli, può considerarsi una sfida vinta. Così sia. E naturalmente ha vinto pure lui, il protagonista: un Elio Germano bravo come sempre, più bravo di sempre. Questa parte resterà fra le più importanti e soddisfacenti della sua carriera, non c’è alcun dubbio. Adesso è arrivato il tempo di raccogliere i frutti, ma il lavoro compiuto è stato a dir poco faticoso. “Un set complicato“, l’ha definito lo stesso Germano durante un’intervista a Repubblica. “Come attore ti può capitare di cadere nella storia che racconti: a un certo punto per gli abitanti di Recanati ero diventato Giacomo, con quel rapporto di canzonatura che mi ha aiutato a provare un minimo, per metafora, quel che aveva vissuto lui. Durante la scena in cui Leopardi è alla scrivania alla finestra, fuori la piazza era gremita e i turisti con la macchina fotografica si stupivano di questo tizio vestito da Leopardi che s’affacciava alla finestra. Surreale. Fai un film su un tema altissimo, poi ti ritrovi con difficoltà molto pragmatiche: fendere la folla dei turisti con il costume di scena e la gobba, recitare a voce alta per coprire il rumore del traffico“.

I ricordi belli sono tanti, in primis la possibilità di dormire proprio nel letto che fu di Leopardi. E poi quei quattro mesi di preparazione, con Martone sempre al fianco e tanti testi e lettere da leggere per “avvicinarsi alla persona“. E una certezza maturata con gradualità: “Anche se non avesse scritto – assicura Elio – niente sarebbe stato straordinario per un attore da interpretare per la sua ricchezza, la contraddittorietà: era freddo e caldissimo, timido e violento, Esplosivo. Fisicamente impossibilitato, ma con una forza vitale e un’energia enormi. Studiarlo è stato un lusso e una lezione sulla complessità: Leopardi era uno scienziato dell’anima, di tutti i meccanismi dell’essere umano. La sua immaginazione lo portava lontano, senza i limiti del suo corpo provato sarebbe volato via come una mongolfiera“.

Martone alza il tiro nel dipingerlo come un ribelle, arrivando addirittura ad accostarlo a Kurt Cobain e Germano conferma la complessità di questa figura che non è mai a suo agio con gli altri “e non mette a suo agio chi parla con lui. Nel suo concepire il tempo non come una linea retta ma come un circuito, ci ho ritrovato Wittgenstein. E altri personaggi, tutti scomodi: Pasolini, Carmelo Bene. Come racconta il film, Leopardi era tollerato dalle persone intorno a lui, perché ciò che diceva dava fastidio a tutti“.

Uno dei momenti più duri? Recitare L’Infinito: “L’abbiamo provata tante volte, in luoghi e momenti diversi. Non ricordo quella che è finita nel film, meglio così. E’ stata una forma di violenza dirla, avrei voluto non venisse mai montata. Anche perché temo un po’ il coretto del pubblico che la sa a memoria“.

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