Valerio Di Benedetto: “Vittima degli eventi è un cavallo di Troia”

Questo prodotto è un cavallo di Troia che entra in un sistema strutturato e complesso. E’ un modo di dire che non c’è bisogno della benedizione di chissà quanti milioni di euro per creare qualcosa che valga. E’ sufficiente la passione, unita alla collaborazione e a una ricca dose di buona volontà. Se passa questo messaggio, è un incoraggiamento per tanti. Perché te lo assicuro: se ce l’abbiamo fatta noi, possono farcela tutti“. Valerio Di Benedetto è un fiume in pieno. Le parole gli salgono lungo la gola ed escono veloci, riempiendo l’aria e vibrando col suo sguardo. Dal 2 novembre sarà distribuito online sul canale di TheJackaL Vittima degli eventi, mediometraggio realizzato da Luca Vecchi e Claudio Biagio e chiaramente ispirato al personaggio di Dylan Dog. Ma, al di là della camicia rossa e della giacca nera indossata dal protagonista, che ha proprio le sembianze di Valerio, guai a pronunciare apertamente quel nome: l’opera in questione non ha alcun diritto sul fumetto creato da Tiziano Sclavi ed edito dalla Bonelli. Già.

L’opera in questione, inoltre, è stata finanziata tramite indiegogo. Ovvero tramite il contributo economico di chi ha ritenuto valido questo progetto: in tutto sono stati raccolti circa trentamila euro. Pochissimo rispetto alle esigenze del mondo cinematografico, moltissimo per un fan film: “Con simili iniziative, magari per portare in scena uno spettacolo – spiega Di Benedetto – in genere si riesce a mettere insieme duemila-tremila euro al massimo. Quindi la risposta è stata ottima“. A questi trentamila si aggiunge ulteriore denaro uscito dalle tasche degli stessi Vecchi e Biagio e si aggiungono pure aiuti di altro tipo, ugualmente concreti: il ragazzo del catering, per esempio, ha messo a disposizione due appartamenti in cui sono stati allestiti il corridoio e l’ufficio di Dylan Dog (chiamiamolo così ma non è lui, eh!) e girate numerose scene. Il viaggio di Vittima degli eventi, finora, è stato denso di significato a costellato di piccoli, grandi traguardi: innanzi tutto, ci sono due guest star del calibro di Alessandro Haber e Milena Vukotic, che interpretano rispettivamente all’ispettore Bloch e Madame Trelkovski – il buon Groucho ha invece la faccia dell’altrettanto buon Vecchi… – mentre Roberto Recchioni, oggi curatore di Dylan Dog per la Bonelli, ha espresso piena approvazione per il risultato finale. Poi le porte del Festival di Roma (sezione Wired Next Cinema) si sono aperte, in sala c’era il pienone e più di qualcuno è addirittura rimasto fuori. Successo, applausi. Prossima tappa: il Lucca Comics & Games. In attesa dello sbarco in Rete.

Valerio, quanto sono durate le riprese?
Circa 12 giorni, dalla fine di ottobre 2013 ai primi del novembre successivo. Il problema dei film a basso budget è proprio questo: la mancanza di soldi si traduce in mancanza di tempo. Quanto alle altre cose, un modo per sopperire si trova: qualcuno presta qualcosa, qualcun altro mette a disposizione la location come per fortuna è accaduto anche noi, tutti si lavora senza percepire compenso, il talento è poi un incredibile valore aggiunto: il direttore della fotografia Matteo Bruno, insieme allo scenografo, è stato bravissimo. Ma il tempo… è quello il problema più grande. Ed è da lì che derivano inevitabili pecche, perché un conto è girare due-tre scene in un giorno, un altro è girarne dieci.

I contributi sono arrivati esclusivamente dal fan club di Dylan Dog?
No, anche da altri suoi estimatori e dai nostri parenti (ride, ndr): pure mio zio c’ha dato una mano!

E’ la seconda volta, dopo Spaghetti Story, che reciti per un film indipendente a basso costo: è solo un caso o ci sono motivazioni ben definite?
In realtà è stato un caso, non è una cosa che cerco di proposito. Mi sono state fatte proposte e le ho accettate. Certo, simili progetti possono dare visibilità, rappresentare un buon biglietto da visita; la visibilità, però, non mi permette di pagare le bollette. E anche stavolta, come nel caso di Spaghetti Story, io non mi aspetto nulla di particolare: sarà quel che sarà.

Davvero non ti aspetti nulla? Non ci credo.
Nulla di particolare. Forse mi aspetto che questo film rappresenti la dimostrazione del fatto che anche senza l’intervento delle major si possono offrire al pubblico buoni prodotti. “Investire sui giovani” è una frase bella, bellissima, una sorta di pietra filosofale, ma quante volte si traduce in realtà? Ecco, come dicevo prima noi abbiamo fatto un passo importante. Un tentativo alla portata di tutti. E credo che la mancanza di pretese sia il vero punto di forza.

Recchioni ha approvato, non è importante?
Fa molto piacere, certo, ma purtroppo la cosa si ferma là. La Bonelli ci dà una pacca sulla spalla per l’impegno, però non può fare altro. Sempre per la questione dei diritti. Le soddisfazioni più grandi stanno altrove.

Dove?
La soddisfazione più grande è averlo fatto, questo film. Essere riusciti a finirlo. E aver visto scendere in campo attori del calibro di Alessandro Haber e Milena Vukotic. La soddisfazione più grande è avere, in un certo senso, buttato giù le porte del cinema. Quelle porte che per molti attori della nostra generazione appaiono ostinatamente chiuse. Invece non lo sono del tutto…

Sei soddisfatto anche del lavoro che hai fatto, della tua interpretazione?
Sì. Ho fatto più di quanto potessi fare all’epoca delle riprese. Era un pericolo particolare per me, avevo anche alcune turbe alla Dylan Dog (sorride, ndr), ma ce l’ho messa tutta e ho sorpreso me stesso. Con maggiore tempo a disposizione forse avrei fatto di meglio, magari. O forse no. Di certo sono stato il più umile e onesto possibile. Si vince quando si decide di vincere, e noi l’abbiamo deciso subito. Senza pensarci nemmeno un secondo. Allora sì, sono soddisfatto.

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