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Categorie: Recensioni

Leonardo Pieraccioni, Il Professor Cenerentolo: un cialtrone in cerca di cambiamento

Due cose sono successe qualche tempo fa a Leonardo Pieraccioni: un giorno ha presentato un suo film nell’istituto penitenziario di Prato e, durante il buffet, dinanzi ai vari interlocutori si è trovato a chiedersi se fossero invitati esterni oppure carcerati. In un’altra occasione un suo amico idraulico gli ha raccontato di essere nei guai, non perché non lavorava ma perché non lo pagavano: “Il vero lavoro è riscuotere“, è stata l’improvvisa consapevolezza. Ecco, il vulcanico toscano ha sommato queste due esperienze all’esigenza di dare una svolta per i suoi cinquant’anni. Perché, su cinquant’anni, venti li ha passati nelle vesti di regista e ha anche fatto registrare ottimi incassi, puntando però sempre sulle tematiche amorose, sulle strafighe e sul personaggio dell’imbranato idealista dal cuore d’oro che sia pur goffamente riesce a conquistarle. Adesso cambia, perché ha voglia di qualcosa di diverso e perché sa che il cambiamento a un certo punto diventa obbligatorio se non si vuole correre il rischio di stancare il pubblico. Il 7 dicembre, per un totale di oltre 500 copie, sbarca nelle sale italiane il suo dodicesimo titolo: Il Professor Cenerentolo. Di cui è ovviamente anche protagonista, questa volta affiancato da Laura Chiatti. Nel cast anche Flavio Insinna, Davide Marotta (l’indimenticabile Ciribiribi Kodak, oggi 53enne), Sergio Friscia, Nicola Acunzo e Massimo Ceccherini, che s’è fidanzato e dunque pare un pochino – pochino, eh! – più tranquillo.

La sceneggiatura porta la firma di Pieraccioni, dell’amico e collega Giovanni Veronesi – sì, il sodalizio s’è ricomposto – e di Domenico Costanzo. Umberto è un ingegnere titolare di una ditta di costruzioni che si trova in una disastrosa situazione economica a causa delle troppe fatture non pagate dai clienti. Disperato, decide di rapinare una banca con l’aiuto di un suo dipendente (Ceccherini), ma il tentativo finisce miseramente e lui si ritrova in manette. Non tutti i mali vengono però per nuocere: Umberto viene spedito nel carcere della pittoresca Ventotene e tutto sommato dietro le sbarre non si trova affatto male. Anzi. Giunto a fine pena, ottiene la possibilità di lavorare durante il giorno nella biblioteca del paese, con l’obbligo di rientrare massimo entro la mezzanotte. Conosce Morgana (la Chiatti), una brava ragazza con un deficit mentale del 25 per cento. Brava ma svitata, insomma. Lei crede che Umberto sia un impiegato del carcere, lui decide di alimentare l’equivoco. Fino a quando la ragazza scopre tutta la verità e la prende male. Malissimo. Umberto tenterà di riconquistarla anche con l’aiuto di Arnaldo (Marotta). Piccolo ma a dir poco pestifero e pure sboccato.

Questo film – dice Pieraccioni – è un regalo che mi sono fatto a cinquant’anni, dopo aver frequentato troppo le commedie sentimentali“. Si definisce un “cabarettista prestato al cinema“, Marotta invece lo definisce “un orsacchiotto come Tedma vabbè, la vita è tutta una questione di punti di vista (“se io sono un orsacchiotto, te sei un Minion“), confessa il suo debole “per le bande di disgraziati” e sottolinea che il nocciolo della questione, in questo film, “è recuperare il rapporto con la figliola” e “la fata Morgana” serve a realizzare tale desiderio. Che poi Martina, la sua figliola vera, compare in una scena e balla. E pare che abbia già espressamente chiesto di aver un ruolo più ampio nel prossimo titolo. Insinna, che interpreta il direttore del carcere, è felice come una Pasqua. Si vede che l’esperienza gli è piaciuta parecchio. E lo stesso dicasi di Marotta: al di là degli scherzi, Pieraccioni “mi ha regalato un sogno” e l’ha fatto davvero. La Chiatti appare compiaciuta di questo suo ruolo, diverso da tutti quelli interpretati finora. E tesse le lodi di Leonardo praticamente senza ritegno. Tutti felici e contenti, dunque? Sì e no. Sì perché siamo dinanzi a una commedia che nel periodo natalizio cade a fagiolo, con la sua leggerezza e le sue battute e le sue gag e qualche messaggio significativo fra le righe. No perché Pieraccioni ha fatto di meglio. Poteva fare di meglio. Assolutamente apprezzabile la voglia di modificare il percorso e la consapevolezza che il tempo passa per tutti quindi meglio adeguarsi sennò si diventa ridicoli; però, ecco, la risata piena non arriva. E non tutte le trovate funzionano come avrebbero dovuto. Forse la verità è che il cambiamento e qualsiasi sfida necessitano sempre di un certo rodaggio.

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