C’è un cinema, nel cuore di Trastevere a Roma, che tempo fa veniva chiamato “Pidocchietto” perché era un po’ malconcio. Poi è stato rimesso a nuovo, ma fra quelle poltrone e attaccati a quei muri sono rimasti tanti ricordi. I ricordi di chi si sedeva là per gustarsi i film e non badava al fumo delle sigarette che impastava l’aria insieme alla polvere, all’audio tutt’altro che perfetto, allo scricchiolio dei legni e qualche crepa sui muri. Anche Massimo De Santis ha lasciato là alcuni dei suoi ricordi migliori, oltre ai primi tasselli del suo sogno. Aveva 5 o 6 anni, andava al Pidocchietto con suo nonno. Pellicola dopo pellicola, s’è innamorato del cinema. E ha cominciato a pensare che lì, su quello schermo così grande, un giorno avrebbe potuto esserci anche lui. L’infanzia e l’adolescenza sono trascorsi fra piccoli spettacoli, saggi, improvvisazione. Fino a quando Massimo ha detto a se stesso: “Ok, io ci provo“. Ha fatto la domanda per entrare all’Accademia di Arte Drammatica e al Centro Sperimentale “ma – spiega – sono arrivato tardi e avrei dovuto aspettare altri due anni“. A quel punto, ormai, il sogno s’era fatto urgenza. Un giorno, per caso, dietro il Teatro Valle ha trovato una locandina che pubblicizzava i corsi della “mitica” Beatrice Bracco: era il ’95. “Sono stati tre anni full time – racconta – nella mia classe c’erano anche Claudio Santamaria e Paola Cortellesi. Un’esperienza indimenticabile, senza dubbio. Così è cominciato tutto“.
Oltre a quello con la Bracco, un incontro determinante nella vita di Massimo è stato quello con Furio Andreotti e Lucilla Lupaioli: con loro ha portato in scena “il primo spettacolo teatrale importante, l’Anello di Erode. La compagnia si chiamava H2O, siamo stati due anni in tournée. Sarà stata l’inesperienza, l’innocenza, il fatto che non sapevo cosa aspettarmi, ma devo dire che non mi sono mai divertito come in quel periodo“.
Poi è arrivato il cinema.
All’inizio era concentrato sul teatro, poi ho trovato un agente e cominciato anche a fare provini per il cinema. Ma lo dico sinceramente: non mi sento un attore da provino, per me è sempre una specie di trauma andare lì ed essere giudicato. Anche perché ai provini devi essere ‘giusto’, la bravura passa in secondo piano. Magari sei bravissimo ma non vai bene per quel determinato ruolo: è un meccanismo che non amo. A cui si aggiunge il fatto che i nuovi registi rischiano poco con gli attori… Ma è anche vero che non vengono incoraggiati.
Però di provini ne hai fatto parecchi. Uno anche con Spike Lee, che ti ha scelto per il ruolo del prete coraggio per il film Miracolo a Sant’Anna.
Già… Avevo un’ansia tremenda. Ricordo che, finito il provino, mi sono diretto verso la porta per uscire. Lui mi ha fermato e mi ha detto che l’avevo convinto. E’ stata un’emozione grandissima.
Il tuo primo film?
Giravolte di Carola Spadoni. Che poi è stato anche l’ultimo film di Victor Cavallo. L’abbiamo girato nel ’98, racconta di una Roma ai margini, per calarmi meglio nel ruolo ho vissuto una settimana con dei barboni. Stavo sempre con loro. Anche questa è stata un’esperienza forte.
Quale film coincide con il tuo ricordo più bello?
Sono Viva di Dino e Filippo Gentili, in cui recito al fianco di Giovanna Mezzogiorno. E’ il ricordo più bello perché ho avuto la possibilità di interpretare un personaggio complesso e anche faticoso: per cinque settimane sono stato sempre in scena.
C’è anche qualche ricordo spiacevole?
No. Perché cerco sempre di metterci tutto me stesso, altrimenti mi sembra di non fare nulla…
Adesso sei sul set di Arance e Martello, debutto alla regia di Diego Bianchi.
Sì, interpreto l’assessore Quattordicine del Pdl, il braccio destro del Sindaco. La vicenda ruota intorno alla chiusura del mercato rionale di San Giovanni, strettamente connessa a vicende politiche. Il mio personaggio cerca di salvare la situazione, anche se non è proprio limpidissimo. I riferimenti a Fa’ la cosa giusta di Spike Lee sono chiarissimi, nel cast ci sono anche tanti attori emergenti e persone prese dalla strada. E’ un progetto interessante, per molti versi coraggioso; una commedia con una storia dietro, ecco. Si ride, ma non mancano le stilettate. Domenico Procacci ci ha creduto molto fin dall’inizio (il film è prodotto dalla Fandango, ndr) e ne sono felice. E poi mi diverto, è la prima volta che interpreto un politico!
Hai vestito i panni di Armando Mezzanotte nella quarta stagione di Squadra Antimafia: personaggio “cattivo” eppure amatissimo. Quanto ti è dispiaciuto… Morire?
… Un po’ (sorride, ndr). Un’altra stagione l’avrei fatta. Perché è un bel cast, mi sono trovato bene.
Fai l’attore da molti anni: mai vissuto momenti di sfiducia?
Certo, molte volte.
In che modo reagisci?
Cerco di dedicarmi ad altre cose, di non pensarci. Per esempio, sono un appassionato di horror e qualche tempo fa ho scritto la sceneggiatura di un cortometraggio. Ho ottenuto anche i finanziamenti che poi sono decaduti perché nel frattempo mi hanno chiamato per degli ingaggi. Credo che l’importante sia non subire questo lavoro, mai. E poi ci vuole passione. Quando torno dal set, io sto bene. E’ per questo che non ho mai mollato.
Qual è la fase che ti piace di più?
Sicuramente la costruzione del personaggio. Studiare, esagerare per poi togliere, mascherarmi. Il set è la fine di questo percorso. E poi amo anche il contatto col pubblico e con gli altri attori: alcuni colleghi mi hanno dato molto e io credo di aver dato molto a loro.
Ti riguardi, a cose fatte?
Sì, mi riguardo ma con un po’ di sofferenza. A volte penso che sono stato pessimo. Altre volte mi dico: “Massimo, qua sei stato proprio bravo…”.
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