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Categorie: Recensioni

Un fantastico via vai: Pieraccioni, i ragazzi e la “Sindrome del bischero”

In tempi di crisi, di estrema precarità, da mutamenti che scatenano rivoluzioni su tutti i piani possibili, qualche certezza fa sempre bene. Solleva l’animo e lo alleggerisce. Ecco, Leonardo Pieraccioni è una di queste certezze: quando entri nella sala cinematografica, sai cosa ti aspetti. E lo trovi, di sicuro. Trovi una commedia garbata, ben costruita, che porta con sé sorrisi e buoni sentimenti. Il 12 dicembre esce Un fantastico via vai, di cui Pieraccioni firma anche la sceneggiatura insieme a Paolo Genovese. E di cui – come sempre – è interprete principale. Solo che stavolta, al suo fianco, non c’è una stangona pronta a mandarlo in stato confusionale. Bensì un gruppo di studenti universitari alle prese con lo “tsunami di emozioni” (parole sue) tipico dei ventenni e con una grande voglia di volare. Sognare. Osare.

“UN FANTASTICO VIA VAI”, IL TRAILER UFFICIALE

Gli studenti sono interpretati da quattro attori giovani, belli ed emergenti: Marianna Di Martino, Chiara Mastalli (leggi l’intervista di Velvet Cinema), Giuseppe Maggio e David Sef. A loro si aggiunge un’altrettanto talentuosa coetanea, Alice Bellagamba. C’è anche l’irrinunciabile e bizzarro Massimo Ceccherini, nei panni di un investigatore privato altrettanto sui generis. C’è Giorgio Panariello, che per Leonardo è prima di tutto un amico e che impersona una sorta di “signorotto di Arezzo” con una certa antipatia nei confronti della gente di colore. C’è la coppia formata da Maurizio Battista e Marco Marzocca, la cui sintonia si tocca quasi con mano. E c’è Serena Autieri, bella e rassicurante nei panni di moglie.

La Autieri è Anita, la moglie del protagonista Arnaldo (Pieraccioni). I coniugi Nardi hanno due gemelle, una bella casa, una tranquillità professionale ed economica. Sono dei privilegiati. Ma all’improvviso, tutto crolla. Per un banale malinteso. Arnaldo potrebbe spiegarsi, chiarire, invece lascia che la consorte prenda l’abbaglio e si lascia cacciare di casa. Forse ha bisogno, inconsciamente, di staccare la spina. E tuffarsi in un mondo che non è più il suo da un pezzo: quello degli universitari, appunto. poiché è sulla soglia dei cinquant’anni, la sua “non è la sindrome di Peter Pan – spiega Pieraccioni – ma la sindrome del bischero“. Una “patologia” che lo spinge ad affittare una camera in un appartamento abitato da due ragazzi e due ragazzi. Arnaldo, così, entra nelle loro vite. Diventando un elemento destabilizzante, sì, ma lasciando anche un segno positivo. Perché se da un lato sembra il più immaturo e ingovernabile di tutti, dall’altro riesce a ravvivare nei suoi coinquilini il fuoco del coraggio e della speranza. Quella fame di vita che a volte si mette a tacere perché un po’ fa paura. E il tutto avviene sempre con una rigenerante leggerezza.

Arnaldo sa che si tratta di una parentesi, e proprio per questo se la gode fino in fondo. Riuscendo anche a trarre degli insegnamenti utili per il suo percorso di uomo, marito, padre. Un fantastico via vai esce nel periodo giusto, perché l’ideale è vederlo proprio a Natale. Perché al centro dei vari intrecci c’è pure la famiglia, in forme insolite o – al contrario – troppo tradizionali. Si ride, davanti al grande schermo. E in un paio di occasioni, gli occhi rischiano di diventare lucidi per la commozione.

Era da un po’ che Pieraccioni aveva la voglia di fare un’incursione cinematografica nel cosmo studentesco; una voglia che si è fatta largo in lui grazie ai vari incontri organizzati nelle università, a quel feeling immediato che si stabilisce con i giovani ma anche a quell’inesorabile e rispettoso “Lei” con cui gli rivolgono la parola. Il sodalizio con Genovese “è stato quasi casuale”. E Genovese, in quel periodo, stava invece riflettendo sull’eventuale storia di un cinquantenne che da un giorno all’altro si trova sbattuto fuori di casa. Detto, fatto: dalla fusione di queste idee è venuto fuori Un fantastico via vai. Che dà una risposta chiara e soddisfacente a tutte le aspettative.

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